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Il Cern torna attivo, ecco

i segreti della nuova tecnologia

2009-10-27

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2009-11-27

Il Cern torna attivo, ecco

i segreti della nuova tecnologia

di Giuseppe Caravita

26 novembre 2009

Le immagini della riparazione di LHC

"Dai nostri archivi"

Come funziona e che cos'è l'acceleratore del Cern

Una Grid che unisce il mondo

Una Grid che unisce il mondo

E' ripartito il superacceleratore Lhc

Fermo per due mesi l'acceleratore Cern

Quattordici mesi di lavoro duro, sovente nel tunnel circolare a cento metri di profondità che inanella la valle di Ginevra e fa capo al Cern.

53 grandi magneti da riportare in superficie con le gru, 37 sostituiti completamente, cinque chilometri di tubi a vuoto assoluto cambiati, migliaia di sensori e valvole nuove. E una squadra di una quarantina di fisici al lavoro, in una sorta di lotta sotterranea contro il tempo.

Ora però, da qualche giorno, il grande Lhc (Large Hadron Collider), ha ripreso a funzionare, da quel 19 settembre del 2008, quando una connessione difettosa a 13mila Ampere (l'energia di qualche migliaio di case) saltò, facendo esplodere l'elio liquido e, a catena, un buon tratto dell'anello. Oggi però l'Lhc superconduttivo di 27 chilometri incrocia i suoi fasci protonici, e genera le prime collisioni. E, a regime, spaccherà la particella di materia più dura conosciuta (il protone), rivelandone i suoi costituenti (fino a mostrare, forse, il segreto della gravità).

"Per ora stiamo andando a energia minima – spiega Lucio Rossi, responsabile dell'anello dei magneti superconduttori e leader della squadra di riparazione – al di sotto del mezzo Tev (meno di 500 miliardi di elettronvolt). Le collisioni che stiamo ottenendo sono a bassa velocità e servono, al più, ai nostri colleghi fisici per la calibrazione dei rivelatori (quattro nell'anello, Atlas, Cms, Alice e Lhcb, i primi due sulla frantumazione dei protoni e gli altri su altre particelle elementari). Finalmente loro possono lavorare, dopo mesi di attesa. Poi, piano piano, saliremo di energia, fino ad ottenere, verso febbraio dell'anno prossimo il regime pieno di collisioni a 7 Tev, ovvero su due fasci di particelle lanciati uno contro l'altro a 3,5 Tev". In pratica alla velocità della luce, migliaia di miliardi di elettronvolt capaci di esplodere l'uno conto l'altro due singoli protoni nei frammenti più minuscoli possibili, fino a quelle (supposte) evanescenti particelle chiamate Bosoni di Higgs, predette in teoria ma mai osservate, che dovrebbero confermare il modello standard della fisica attuale, oppure, in caso diverso, persino spalancare le porte a nuove domande, oppure ancora a nuove teorie universali come la supersimmetria.

Questo però a febbraio, se tutto andrà bene: "Abbiamo perso 14 mesi, mentre la rete mondiale dei fisici aspettava il nostro ritorno in vita. Intanto il Fermilab di Chicago ha continuato a lavorare a 1 Tev, quindi con collisioni a 2 tev. Rischiavamo di perdere il treno della nuova fisica. Per questo, appena abbiamo potuto, siamo ripartiti subito – continua Rossi – anche se l'elettricità nei mesi invernali è per noi più cara. E abbiamo messo già in conto 10 milioni di euro di bolletta aggiuntiva, per queste 12 settimane di ripartenza fuori stagione (l'estate, quando la Francia nucleare fornisce al Cern i Tev a costi ribassati, gli anelli solitamente si accedono). "Ma ne vale la pena – continua Rossi - Vogliamo essere pronti, e a febbraio a sorpassare la soglia dei 2 tev, quindi entrare in quel mondo sconosciuto delle altissime energie da cui ci aspettiamo risposte, o forse nuove sorprese".

Intanto la squadra di Rossi ha lavorato con cura. "Il problema di fondo è che la superconduttività è una cosa bellissima (ti permette di incanalare enormi energie senza perdite di corrente) ma è uno stato instabile. In ogni istante puoi avere uno quench, una transizione di stato improvvisa da superconduttività a conduttività normale, con conseguente surriscaldamento dei componenti nell'anello. Per questo abbiamo istallato oltre seimila sensori per un ulteriore sistema di protezione, capace di agire al primo superamento di soglia elettromagnetica, nell'ordine dei dieci millisecondi. Ci vogliono infatti cinquecento millisecondi per spegnere i magneti, in caso di transizione improvvisa. Ma quelli che contano sono i primi dieci perché non si ripetano danni e si blocchi la corrente. Oggi il nostro nuovo sistema di protezione è talmente sensibile che tende a scattare per un nonnulla, per un qualsiasi rumore elettrico. E lo stiamo attentamente calibrando, prima di salire di potenza. E intanto controlliamo anche quella metà dell'anello che abbiamo verificato solo a campione, non essendo l'epicentro del guasto di 14 mesi fa".

Rossi, da buon fisico sperimentale, non esclude la possibilità di nuovi guai. "Ma ora cominciamo ad essere ragionevolmente certi che l'errore del settembre 2008 non si ripeterà. Abbiamo inserito anche valvole per controllare eventuali fuoriuscite di elio (che in criogenia è liquido, ma senza energia passa subito a stato gassoso espandendosi, fino a spaccare i tubi metallici molto spessi) senza rischiare ulteriori fessurazioni dei tubi e magneti".

A febbraio, quindi, L'Lhc dovrebbe entrare nel suo ignoto sperimentale. E miliardi di dati di collisioni verranno immesse sulla sua rete (grid) che connette L'Lhc alla rete mondiale dei centri di ricerca in fisica. "Il punto non è solo l'energia a cui arriveremo ma anche la luminosità, ovvero il numero di eventi utili e osservabili accumulati. Anche se hai un cannocchiale sette volte più potente di quello del Fermilab di Chicago te ne fai poco se osservi le stelle solo per pochi minuti, mentre magari il tuo rivale ci sta sopra da un anno. Ci vorranno con ogni probabilità, mesi e mesi di eventi, e di analisi, per cominciare a vedere qualcosa. Ma forse poi sarà stupefacente".

Per ora il telescopio Lhc è acceso, è andato oltre la sua tecnologia iniziale (già estrema) e sta puntando sull'obbiettivo. Ma niente miracoli scientifici a breve in arrivo dal Cern. E i primi a dirlo sono proprio quelli che ci stanno lavorando.

26 novembre 2009

 

 

 

 

Come funziona e che cos'è l'acceleratore del Cern

di Giuseppe Caravita

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10 APRILE 2008

"Dai nostri archivi"

Una Grid che unisce il mondo

Una Grid che unisce il mondo

Il Cern torna attivo, ecco i segreti della nuova tecnologia

Davvero il grande acceleratore del Cern mette a rischio l'Universo?

Cern, esperimento riuscito

Ventisette chilometri di un grande tunnel, perfettamente circolare, scavato centro metri sotto la valle di Ginevra. E dentro un doppio circuito di tubi a vuoto assoluto, e raffreddati a temperatura persino leggermente inferiore a quello del vuoto intergalattico. Ma il cuore dell'Lhc (Large Hadron Collider) del Cern (il grande laboratorio europeo sulla fisica delle particelle) starà dentro i tubi a vuoto e in due caverne. Nei primi passeranno, accelerati da campi elettrici pulsanti e tenuti in orbita da potenti campi magnetici, alla velocità della luce, fasci di protoni o di nuclei di piombo. Due fasci, l'uno in direzione contraria all'altro, che verranno incrociati tra di loro dentro due grandi macchine di misura: l'Atlas e il Cms. Alcuni protoni si scontreranno tra loro, alla massima energia finora prodotta dall'uomo (14mila miliardi di elettronvolt, nove ordini di grandezza sopra le accelerazioni elettroniche un tubo catodico di una normale Tv) e la loro collisione, e istantanea frammentazione in particelle più piccole, verrà istantaneamente registrata sia dentro Atlas che nel Cms, tramite i loro (diversi) sistemi sensoriali. Migliaia di scontri al secondo verranno così catturati e i loro dati registrati da batterie di computer nelle due caverne, e poi inviati alla rete del Cern, e di qui alla Grid, il sistema a larghissima banda internazionale che consentirà ai fisici di tutto il mondo di analizzare i dati degli esperimenti in tempo reale.

 

Timori di buchi neri a parte, l'obbiettivo è spaccare il protone, il costituente atomico più "duro" e osservare se il fisico inglese Higgs aveva ragione quando predisse l'esistenza di una sottoparticella, un bosone teorico, portatore del campo di Higgs, ovvero della spiegazione dell'origine della massa in tutto l'universo.

Oggi, sotto questo aspetto, la fisica è ancora al palo: il 95% della massa universale è sconosciuta. Fatta, probabilmente, di materia oscura e di energia oscura. Della prima si hanno solo prove indirette (deviazioni della luce su ammassi galattici lontani), della seconda poco più di congetture.

E non solo: l'Lhc, quando comincerà le sue collisioni, forse aiuterà i fisici a capire (direttamente e indirettamente) se esistono altre dimensioni oltre a quelle rilevabili dai nostri sensi (spazio-tempo), come quelle ipotizzate (per ora solo a livello teorico) dalla teoria delle stringhe. Insomma, gran parte delle domande poste dai fisici negli ultimi vent'anni. Ben superiori, pur con il progresso delle conoscenze, alle loro certezze.

 

 

 

 

Una Grid che unisce il mondo

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Giovedí 16 Ottobre 2008

Per ora, sulla rete dei 140 centri di calcolo scientifico sparsi per il mondo, stanno elaborando segnali per lo più provenienti dai raggi cosmici. Nella caverna circolare di 27 chilometri di circonferenza, scavata sotto la valle di Ginevra, il grande acceleratore di particelle Lhc del Cern è infatti fermo, bloccato da un guasto dello scorso 20 settembre. E ripartirà, se tutto va bene, a maggio. Funzionano, a regime, solo i sensori di raggi cosmici che, in parte, aiutano a calibrare l'Lhc e in parte vengono utilizzati per scopi scientifici.

Lo scorso 20 settembre, infatti, al culmine di una prova del l'anello di 1.400 magneti superconduttori criogenici, un'interconnessione è saltata, con conseguente corto circuito, riscaldamento rapido dell'elio, rottura di alcuni magneti, fuoriuscita del gas. "L'incidente ci ha presi di sorpresa. come un pugno nello stomaco, dopo il successo all'avvio di nove giorni prima – racconta Lucio Rossi, il fisico milanese responsabile dei 1.400 magneti – le interconnessioni erano l'ultima parte, non testabile, dell'anello. È stata dura, anche personalmente, soprattutto per il fatto di non poter scendere là sotto a controllare e capire cosa era successo. Solo oggi, riportato in temperatura il settore, lo stiamo facendo. E prevediamo, oltre alle riparazioni, di inserire nuovi sensori nelle interconnessioni, per tenerle d'ora in poi, sotto costante controllo. Ne abbiamo da lavorare. E fino a maggio, almeno".

Forse però è un bene, questo ritardo, per i 7mila scienziati, in 33 Paesi, collegati alla Grid del Cern. "Avranno più tempo per controllare e mettere a punto un sistema di supercalcolo complesso e mai tentato prima nel mondo, e quindi ancora piuttosto fragile", spiega Dario Barberis, fisico genovese responsabile dell'informatica di Atlas (uno dei maggiori esperimenti nell'Lhc).

La Grid finora ha però mantenuto le promesse. Formulate quasi dieci anni fa, quando i fisici del Cern si trovarono di fronte a un problema quasi insolubile. Il loro nuovo acceleratore a superconduttori, l'Lhc, avrebbe generato circa 600 milioni di collisioni protoniche al secondo, di cui un centinaio, dopo una prima scrematura, di interesse scientifico. Con un flusso "grezzo", però di circa 700 megabytes al secondo (un cd al secondo) e quindi di 15 milioni di gigabytes all'anno, e per vent'anni. Troppi da elaborare, anche economicamente, per il solo Cern. "La singola potenza di calcolo per una simile massa di dati semplicemente non esisteva, e tuttora non esiste – osserva James Gillies, portavoce del Cern – l'unica era cambiare tutto il paradigma".

"La Grid altro non è che la messa in comune di tutte le risorse di calcolo possibili a disposizione dei fisici, con un progetto cooperativo, prevalentemente di software, che ha pochi precedenti", aggiunge Barberis. E il sistema informatico mondiale a larghissima banda inaugurato lo scorso 10 ottobre al Cern ha infatti una doppia faccia: la "fonte" e la "rete".

La "fonte" sta al Cern. Parte dai quattro grandi rivelatori sotterranei (Atlas, Cms, Alice, Lhcb) che rilevano le collisioni tra particelle tramite apparati sensoriali ultra-veloci. Con valanghe di dati grezzi che si riversano direttamente nei centri di pre-elaborazione posti nelle caverne. Di qui, tramite una delle più ramificate reti locali ethernet-gigabit del mondo, i dati vanno a un data center di 6mila pc, che fa da perno sia per la loro ulteriore "raffinazione" e conservazione (su unità a nastro da 16 milioni di gigabyte complessive), sia per il loro invio sulla Grid. Qui, tramite connessioni ottiche da 10 gigabit/secondo, i flussi di dati vanno ai 140 centri di calcolo scientifico in 33 Paesi, vengono elaborati, analizzati, e i loro risultati in gran parte reinviati al Cern, o memorizzati in altre grandi "cassaforti".

"L'intero sistema si basa su una logica unitaria – spiega Bill Johnson, responsabile della R&S Hp sul networking – ogni fisico, in ogni parte del mondo, se ha accesso alla Grid può lanciare da ogni punto della rete il suo "Job", la sua analisi dei dati. Ed è la Grid, tramite il suo software, a deciderne l'esecuzione e allocarne le risorse di calcolo, secondo un principio ad aste e crediti non molto diverso da quello di e-Bay. Per noi di Hp, che abbiamo fornito la rete locale al Cern, è stata una grande occasione di test e di sviluppo del grande networking del futuro".

La "fonte", la grande rete sensoriale-locale del Cern (con circa 70mila porte Ethernet ad alta velocità) è stata già, di per sé, un investimento massiccio per le finanze del centro. La Grid, invece, è costata molto meno: in pratica la collaborazione (spesso gratuita), da circa sei anni, di alcune centinaia di fisici e informatici che ne hanno progressivamente sviluppato e testato il software "Fino a generare un sistema distribuito capace di elaborare mezzo milione di jobs al giorno, e senza problemi", stima Ian Bird, leader del progetto.

E da maggio-giugno, quando l'acceleratore diverrà pienamente operativo e i flussi di dati cominceranno a scorrere dal Cern verso i centri di primo livello (Tier-1) nazionali (in Italia l'Infn di Bologna), il sistema di scheduling andrà a regime (in buona parte basato sui computer di Brookhaven) e migliaia di jobs, di analisi richiederanno anche giornate di calcolo intensivo dentro i 140 centri della rete. Con il reinvio finale dei risultati, per lo storage, ai nodi principali della Grid.

"È una rete concepita per un massiccio scambio di dati e per attività di calcolo intensive ma non costanti – spiega Barberis – è, in pratica un supercalcolatore distribuito e, insieme, più facile e rapido da usare, alla pari per tutti. Che si avvantaggia del fatto che, via fibre ottiche, oggi siamo in grado di scambiarci, a costi accessibili, anche migliaia di gigabit. C'è quindi ancora molto spazio per farla crescere, sia per le ricerche in fisica che in tanti altri campi della scienza".

giuseppe.caravita@ilsole24ore.com

7.000 I ricercatori. Che potranno accedere alla Grid Lhc.

140 I centri. Che mettono in comune le risorse di calcolo.

500.000 I jobs. Le analisi sui dati eseguite in contemporanea dalla Grid.

15 petabytes I dati. L'acceleratore veicola 15 milioni di giga all'anno.

L'origine Lhc. L'acceleratore Lhc del Cern, tramite i suoi quattro grandi rivelatori, registrerà in media dati su 40 milioni di collisioni tra protoni al secondo.

La scrematura I superveloci. I supercomputer dell'anello sotterraneo scremano i dati a circa 100 collisioni "interessanti", un flusso pari a un cd al secondo.

La trasmissione Inbatteria. I dati vengono rielaborati dai 6mila pc in batteria del Cern e immessi nei database per la trasmissione su richiesta da parte della Grid.

Il calcolo mondiale Gli scienziati. Si autenticano sulla Grid e lanciano i jobs, le analisi sui nuovi dati Cern. Le richieste vengono gestite e i dati inviati ai centri di calcolo.

Memorizzazione I risultati . I jobs vengono reinviati al Cern e ai centri di storage che, in media, possono raccogliere circa 15 milioni di gigabyte all'anno.

1. Il grande centro di calcolo del Cern a Ginevra. Da qui partiranno i 15 milioni di gigabyte annui generati dall'acceleratore di particelle Lhc

2. Il laboratorio Nazionale di Brookhaven opera, con il suo potente centro di calcolo, da gestore del traffico sulla Grid

3.Fermilab di Chicago, sistema di storage complementare al Cern.

4.Oxford, Cambridge, Imperial College.

5 Mosca e Leningrado.

6. Pechino e Giappone.

7. Infn di Bologna.

 

 

 

 

 

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